martedì 24 luglio 2012

vita monastica ed eremitica - 7




Paolo VI, durante la sua visita-pellegrinaggio sui luoghi che videro gli inizi e i primi sviluppi della grande opera di S. Benedetto, al Sacro Speco e a Subiaco:
( 8 settembre 1971 )

«E strano. I Santi che maggiormente influirono sulle generazioni, posero il loro massimo impegno originario nel ricercare l’isolamento. 
Per operare sul mondo, fuggirono dal mondo. Anzi: essi non pensarono affatto ad operare sul mondo, ma su sé stessi, a convertire sé stessi... 
Non andarono al mondo, il mondo andò a loro, il che dovrebbe farci molto pensare oggi, che si è tentati di attribuire importanza decisiva ai livellamenti mondani».



Dall’ Omelia del Papa Paolo VI in occasione della Canonizzazione di San Charbel  (ottobre 1977):

«La Chiesa intera è invitata ad una grande gioia ... 
La vocazione comporta sempre anche una decisione molto personale del candidato, nel quale la chiamata irresistibile della grazia si unisce alla volontà tenace di diventare santo: “Lascia tutto, vieni! Seguimi!”. 
Che cosa rappresenta dunque una vita così? La pratica assidua, spinta all’estremo, dei voti religiosi, vissuti nel silenzio e nello spogliamento monastico... 
Ma la chiave di questa vita in apparenza strana è la ricerca della santità, ossia il conformarsi nel modo più perfetto a Cristo umile e povero, il colloquio quasi ininterrotto con il Signore, la partecipazione personale al sacrificio di Cristo attraverso una celebrazione fervente della Messa ed attraverso la sua penitenza rigorosamente unita all’intercessione per i peccatori. In breve, la ricerca incessante di Dio solo, che è propria della vita monastica, accentuata dalla solitudine della vita eremitica. 
Questa enumerazione che gli agiografi Possono illustrare con numerosi fatti concreti, non dà forse l’immagine di una santità molto austera? 
Fermiamoci su questo paradosso che lascia il mondo moderno perplesso, anche irritato; si ammette ancora in un uomo come Charbel Makhlouf un eroismo fuori del comune, davanti al quale ci si inchina, considerando soprattutto la sua fermezza al di sopra della norma. 
Ma non è forse “follia agli occhi degli uomini” come si esprimeva già l’autore del libro della Sapienza? 
Anche alcuni cristiani si domanderanno: Cristo ha veramente voluto tali rinunzie, lui, la cui capacità di accogliere era in contrasto con le austerità di Giovanni Battista? O peggio ancora, alcuni, seguendo l’umanesimo moderno, non arriveranno in nome della Psicologia, fino ad accusare questa austerità intransigente di disprezzo, abusivo e traumatizzante, dei sani valori del corpo e dell’amore, delle relazioni amichevoli, della libertà creatrice, della vita in una parola? 
Ragionare in questo modo nel caso di Charbel Makhlouf e di tanti suoi compagni monaci o anacoreti dall’inizio della Chiesa, è manifestare una grave incomprensione, come se non si trattasse che d’una realtà umana; è dare prova d’una certa miopia davanti ad una realtà ben più profonda. 
L’equilibrio umano non è certo da condannare, ed in ogni modo i superiori e la Chiesa devono vegliare sulla prudenza e sull’autenticità di tali esperienze. 
Ma prudenza ed equilibrio umano non sono nozioni statiche, limitate agli elementi psicologici più comuni o alle sole risorse umane. 
E dimenticare soprattutto che Cristo ha espresso lui stesso delle esigenze così ardue nei confronti di quelli che volessero essere suoi discepoli: “Seguimi ... e lascia che i morti seppelliscano i loro morti”. “Se qualcuno viene a me senza preferirmi a suo padre, sua madre, sua moglie, i suoi figli, i suoi fratelli, le sue sorelle, e la sua propria vita, non può essere mio discepolo”. 
E anche dimenticare la potenza dell’anima, per la quale questa austerità è un semplice mezzo, è dimenticare l’amore di Dio che l’ispira, l’assoluto che l’attira; è ignorare la Grazia di Cristo che la sostiene e fa partecipe del dinamismo della propria vita. 
E infine non riconoscere le risorse della vita spirituale, capace di far pervenire ad una profondità, ad una vitalità, ad una padronanza dell’essere, ed un equilibrio tanto più grandi in quanto cercati per sé stessi: “Cercate prima di tutto il regno di Dio e la sua giustizia ed il resto vi sarà dato di sovrappiù” (Mt. 6). 
Ed, infatti, chi non ammirerà in Charbel Ma khlouf gli aspetti positivi che l’austerità, la mortificazione, l’obbedienza, la castità, la solitudine hanno reso possibile ad un grado raramente raggiunto? 
Pensate alla sua libertà sovrana davanti alle difficoltà o alle passioni di ogni tipo, alla qualità della sua vita interiore, all’elevatezza della sua preghiera, al suo spirito di adorazione manifestato di fronte alla natura e soprattutto in presenza del Santo Sacramento, alla sua tenerezza filiale per la Vergine, a tutte quelle meraviglie promesse nelle beatitudini e realizzate alla lettera nel nostro santo: dolcezza, umiltà, misericordia, pace, gioia, partecipazione, in questa vita, alla potenza di guarigione e di conversione di Cristo.
In breve, l’austerità l’ha posto sul cammino della serenità perfetta, della vera felicità: esso ha lasciato tutto lo spazio allo Spirito Santo. 
E d’altra parte, cosa impressionante, il popolo di Dio non si era ingannato. 
Sin da quando Charbel Makhlouf era in vita, i suoi compatrioti, cristiani o no, veneravano la sua raggiante santità, accorrevano a lui come al medico delle anime e dei corpi. ... 
Sì, il genere di santità praticato da Charbel Makhlouf è di grande forza, non solo per la gloria di Dio, ma per la vitalità della Chiesa. 
Certo, nell’unico Corpo mistico di Cristo, come dice S. Paolo, i carismi sono numerosi e diversi: essi corrispondono a funzioni differenti, che hanno ognuna il suo posto indispensabile. Ci vogliono dei pastori ... dei teologi ... degli evangelizzatori e dei missionari ... dei catechisti
Ci vogliono delle persone che si votino direttamente all’aiuto dei loro fratelli ... 
Ma ci vogliono anche delle persone che si offrano come vittime per la salvezza del mondo, in una penitenza liberamente accettata, in una incessante preghiera d’intercessione, come Mosè sulla montagna, in una ricerca appassionata dell’Assoluto, testimoniando che vale la pena di adorare ed amare Dio per sé stesso. 
Lo stile di vita di questi monaci, di questi eremiti non è stato proposto a tutti come un carisma imitabile: ma allo stato puro, in maniera radicale, essi incarnano uno spirito di cui nessun fedele a Cristo è dispensato, essi esercitano una funzione di cui la Chiesa non saprebbe fare a meno, essi ricordano un cammino salutare per tutti. Permetteteci, terminando, di sottolineare l’interesse particolare della vocazione eremitica d’oggi. 
Essa sembra veramente conoscere un certo ritorno di favore che non si spiega solamente con la decadenza della società o con le difficoltà che essa ci fa pesare. 
Essa può d’altra parte assumere forme adatte, a condizione che sia sempre condotta con discernimento ed obbedienza. Questa testimonianza, lungi dall’essere una sopravvivenza di un passato concluso, ci appare molto importante sia per il nostro mondo che per la nostra Chiesa...
Benediciamo il Signore di averci dato san Charbel Makhlouf per rianimare le forze della Chiesa con il suo esempio e la sua preghiera. Possa il nuovo santo continuare ad esercitare la sua influenza prodigiosa non solamente nel Libano ma in Oriente e nella Chiesa intera! Che egli interceda per noi, poveri peccatori che, troppo sovente, non osiamo rischiare l’esperienza delle beatitudini che tuttavia conducono alla gioia perfetta! ... 
Che la sua luce brilli sopra Honaya, rallegrando gli uomini nella concordia ed attirandoli verso Dio, che egli contempla ormai nella felicità eterna! Sia lode alla Santissima Trinità, che ci ha dato la gioia di proclamare Santo il monaco libanese Charbel Makhlouf, a conferma della perenne, inesausta santità della Chiesa! 
Lo spirito della vocazione eremitica che si manifesta nel nuovo Santo, lungi dall’appartenere ad un tempo ormai passato, ci appare molto importante, per il nostro mondo, come per la vita della Chiesa. La vita sociale di oggi è spesso contrassegnata dall’esuberanza, dall’eccitazione, dalla ricerca insaziabile del conforto e del piacere, unita ad una crescente debolezza della volontà; essa non riacquisterà il suo equilibrio se non con un accrescimento del dominio di sé, di ascesi, di povertà, di pace, di semplicità di interiorità di silenzio. La vita eremitica gliene dà l’esempio ed il gusto. 
E nella Chiesa, come pensare di superare la mediocrità e realizzare un autentico rinnova mento spirituale, non contando che sulle nostre forze, senza sviluppare una sete di santità personale, senza esercitare virtù nascoste, senza riconoscere il valore insostituibile e la fecondità della mortificazione, dell’umiltà, della preghiera? 
Per salvare il mondo, per conquistarlo spiritualmente, è necessario, come vuole Cristo, essere nel mondo, ma non appartenere a tutto ciò che nel mondo allontana da Dio. L’eremita di Honaya ce lo ricorda oggi con una forza incomparabile».




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