venerdì 21 dicembre 2012

S. Natale 2012






Incontro di Natale      
del Gruppo padre Romano Bottegal

A S.Donato di Lamon ( Belluno )

19 dicembre 2012.


Dopo la santa Messa per "un Natale assieme" del gruppo p. Romano Bottegal, è seguita la consueta tavola rotonda per augurarci un Natale di rinascita spirituale.
Ci siamo proposti di riflettere su alcuni punti del testo di Benedetto XVI per la giornata della pace 2013 e in particolare su:

l) .... La beatitudine consiste, piuttosto, nell'adempimento di una promessa rivolta a tutti
coloro che si lasciano guidare dalle esigenze della verità, giustizia e dall'amore .... già in
questa vita scopriranno di essere figli di Dio e che da sempre e per sempre Dio è del tutto
solidale con loro. Comprenderanno che non sono soli, perché Egli è dalla parte di coloro che si impegnano per la verità, la giustizia e l'amore.

2) .... perseguire quale priorità l'obiettivo dell'accesso al lavoro o del suo mantenimento, per tutti. In vista della realizzazione di questo ambizioso obiettivo è precondizione una
rinnovata considerazione del lavoro basata su principi etici e valori spirituali, che ne
irrobustiscano la concezione come bene fondamentale per la persona, la famiglia, la società.
A tale bene corrisponde un dovere e un diritto che esigono coraggiose e nuove politiche del lavoro per tutti.

Questi due punti, all'apparenza lontani nei significati, ci sembra tocchino da vicino il cammino da noi fatto finora:

  1. spiritualità della comunione nell'impegno di crescere nel dono sincero di sé,
nella prospettiva alta suggerita dalla Gaudium et Spes al n024;

  1. esperienza all'eremo di Montelovesco (condivisione, convivialità, crescita umana e
spirituale, lavoro nella gratuità e reciprocità .... );

e ci spingono ora ad allargare 1'esperienza dall'interno all'esterno del gruppo, nell'orizzonte di una economia di comunione sul modello indicato già da Chiara Lubich e ispirato alla fratellanza universale vissuta da p. Romano Bottegal.
Questo nella consapevolezza del diritto fondamentale, rappresentato dal lavoro e affermato dalla dottrina sociale della Chiesa e in particolare dalla Laborem Exercens, della gravità della sua mancanza che caratterizza secolarmente la nostra comunità, creando incertezza e povertà, ma anche perché rappresenta un reale impegno nelle esigenze della verità, giustizia e amore capace di portarci a vivere le beatitudini come esperienza fondamentale dell'essere comunità cristiana.
Di sentire cioè Dio "accanto a coloro che si uniscono nel suo nome e lavorano per la giustizia.(Caritas in Veritate )".

Si è sottolineata 1'importanza di una forte vita spirituale personale, premessa fondamentale per unirci veramente in cellule di comunità cristiane, mattone indispensabile per realizzare, con gli altri, la comunità parrocchiale.
Inoltre si è insistito sulla necessità di comprendere a fondo ciò in cui crediamo veramente e può essere riferimento per darei delle motivazioni profonde e spendersi con gioia assieme.
Questo Credo comune è fondamentale, altrimenti si rischia di perdersi in discussioni ed arenarci al primo ostacolo.
A tal proposito si è proposto un Credo su cui tutti sono invitati a riflettere e a misurarsi per arrivare senza fretta alla formulazione comune: un vero DNA delle nostre risorse e
aspirazioni umane e spirituali, una visione alta da cui possono scaturire i frutti del nostro essere gruppo.
Da gennaio gli incontri del gruppo avranno lo scopo di realizzare e affinare sempre più il
nostro Credo, e nutrirsi, come testo di riferimento, alla Sacramentum Caritatis.
Ci sembra il modo migliore per vivere l'anno della fede.

Con l'inizio dell'estate si esaminerà anche la possibilità di realizzare una cooperativa sociale nelle prospettive di cui sopra.
Un altro punto importante che scaturisce dalla Sacamentum Caritatis è l'impegno
per far crescere la cultura della sofferenza come offerta, la vita come offerta, realtà a cui p. Romano ha dedicato la vita e che rappresenta un vero vuoto spirituale nella fede vissuta oggi.
Portare la sofferenza all'altare deve essere un impegno costante del gruppo per essere sempre più in sintonia con il "santo di casa propria" e la Sacramentum Caritatis.

Altre proposte (esperienza in Libano, Percorso dello spirito ecc) sono sempre in attesa di idee ed energie.

I vari auguri che ne sono seguiti, carichi di simpatia e umanità, fanno ben sperare di avere
cominciato ad accendere una luce nell'oscurità di questi tempi.

San Donato 19 dicembre 2012.




IL CREDO    del gruppo p. Romano Bottegal.

Credo nella forza del silenzio, nascondimento e meditazione,
in Dio,  che bussa a tutte le porte
e nella coscienza in cui risuona la sua voce,
nella misteriosa fecondità del dolore vissuto e offerto con amore,
nell'uomo, voce dell'universo per lodare in libertà il Creatore.

Credo nell'Eucarestia, spirito di Cristo risorto nella carne,
fonte e culmine della vita e della missione della chiesa,
centro di ogni positiva rivoluzione culturale e sociale.
Credo che rinunciare, rinnegare, annientare se stessi siano la forza
per unirci e vegliare con Cristo sofferente e fare del bene ai fratelli.

Credo in chi, libero dal sistema materialista che non salva nessuno,
si lascia guidare dalle esigenze della verità, giustizia e amore,
fino a ritrovarsi nello spirito delle beatitudini,
perché scopre Dio, Padre onnipotente, solidale con l'umanità,
Dio, pace e diletto, che si compiace di disporre tutto per il bene delle persone.
Scopre che si vive nella verità solo se ci si affida al Creatore.

Credo la vita nella logica della celebrazione eucaristica,
perciò nella pace, nell'uguaglianza e nella dignità di ogni persona,
nella condivisione dei beni e delle idee,
nella convivialità e relazione in fraternità con Cristo,
nell'impegno fatto di coraggio ed azione, di fedeltà e speranza.

Credo nel diritto ad un lavoro e ad un salario almeno minimo per tutti,
nel futuro del proprio paese, che Dio ama e ha fornito di risorse in abbondanza.
E questo futuro sarà nelle nostre mani, se saremo comunità cristiane.

Anno della fede 2012









anno scritto su padre Romano - 4





Padre Romano Bottegal

AI-Hiwar, 1/2012

Ci soffermiamo stavolta sulla figura "periferica" di un monaco bellunese, i cui tortuosi percorsi esistenziali, contenutistici e stilistici sono davvero simili a quelli di altre figure del dialogo cristiano-islamico, quali Charles de Foucauld, i monaci trappisti di Tibhirine (Atlas algerino) e don Andrea Santoro.
Sulle pagine della storia e del dialogo si incontrano nomi noti e nomi meno noti, ma il cui compito comune è stato quello di dare vita ad una "geografia dell'anima" capace di raccogliere il vissuto e le contraddizioni di popoli, persone e nazioni, come - nel caso specifico - il Libano, l'Algeria e la Turchia.
Già queste prime battute mi porterebbero ad anticipare una conclusione, che poi riprenderemo: soltanto l'uomo "spirituale", riesce veramente a portare dentro di sé la ricchezza del proprio mondo interiore, senza chiudersi alla ricchezza della vicenda e
dell' interiorità di altri. Ma andiamo con ordine, partendo da qualche informazione storica.

Romano Bottegal nacque nel 1921 a san Donato di Lamon (Belluno) in una famiglia molto povera, ultimo di sei figli.
Per tutta la vita Romano incoraggiò i suoi a sopportare in pace e abbandono alla provvidenza la difficile situazione economica.
Dopo le scuole elementari, il piccolo Romano entro nel seminario minore di Feltre e poi nel seminario maggiore di Belluno, dove ebbe come vice-rettore don Albino Luciani, poi papa Giovanni Paolo I, che lo apprezzò molto e gli lasciò delle testimonianze significative. A 18 anni fece il voto perpetuo di castità. Durante gli anni di teologia maturò una forte vocazione monastica, ma i suoi superiori ed il padre spirituale lo consigliarono di attendere l'ordinazione sacerdotale, che ricevette il 29 giugno 1946.

Dopo l'ordinazione lasciò la diocesi ed entrò nell'abbazia delle Tre Fontane, a Roma.
Là fece la professione solenne nel 1951 e seguì dei corsi all'università Gregoriana, dove nel 1953, ottenne la Licenza di teologia.
Fu maestro dei fratelli conversi, cantore, poi maestro dei novizi e priore.
Nel 1961 rispose all'appello dell'abate di Latroun, in Israele, che cercava dei volontari per realizzare in Libano una fondazione trappista di rito maronita, ed egli ottenne dai superiori di partecipare a questo tentativo. Qui padre Romano si mise a studiare l'arabo, il siriaco e la liturgia orientale.

Nel mese di dicembre del 1963, dato che il progetto libanese era stato abbandonato, non avendo ricevuto il permesso del Capitolo generale dei trappisti, lasciò il medio oriente e rientrò alle Tre Fontane, dove l'abate, che conosceva la serietà del suo impegno monastico e la sua virtù interiore, gli permise di condurre una vita solitaria nel territorio del monastero.
Poco più tardi fu nominato un nuovo superiore alle tre Fontane, che non
concesse a padre Romano di continuare la sua esperienza di vita solitaria nelle mura del convento.
Padre Romano, che aveva ormai la certezza della chiamata del Signore ad una vita più austera e solitaria, domandò un indulto di sclaustrazione, che gli fu accordato dalla Santa Sede, per poter condurre una vita eremitica.
Dopo un tempo di ricerca, partì per il Libano e si pose sotto l'autorità del vescovo melkita di Baalbek, vivendo in vita solitaria a Jabbouleh, in un eremitaggio appartenente alla diocesi.
Qui passò i suoi ultimi anni, conducendo una vita molto austera, con un regime alimentare appena sufficiente, senza riscaldamento, né mobili, né alcuna forma di agio.

Rimase continuamente in relazioni fraterne con alcuni fratelli e i vecchi superiori delle Tre Fontane: il suo animo limpido, tranquillo, sensibile e pieno di amore, lo portò sempre a preoccuparsi del bene della comunità.
Non si lasciò indurire dalla vita di ascesi e di penitenza: riusciva a fare le cose fino in fondo senza perdere il senso pratico e senza intristirsi.
Dotato di eccezionale equilibrio, sensibilità e delicatezza d'animo, congiunse i suoi altissimi ideali a un estremo realismo; unì l'incredibile austerità del suo stile di vita alla dolcezza con se stesso, con gli altri e con tutta la realtà, vivendo la paternità e la "maternità" spirituali.
Uomo amabile, sorridente e tenero, sapeva mostrare una gioia inalterata: tutti i testimoni parlano della sua gioia e dell' espressione del volto da cui traspariva la presenza del Signore, frutto anche di qualche esperienza mistica che trapelava chiaramente dal suo Diario segreto, nonostante la discrezione della persona.
Colpito dalla tubercolosi, sfinito dalle privazioni, padre Romano si spense il 19 febbraio del 1978, all'età di 56 anni. all'ospedale di Beyrout, dopo 32 anni di vita monastica, di cui 14 passati in solitudine.
Vicino al suo eremo oggi sorge un convento che continua l'opera di contemplazione da lui cominciata.
I Capitoli generali del 1999 hanno approvato la preparazione della causa di beatificazione. Nel 2000, la Congregazione per la dottrina della fede ha dato il suo nulla osta alla continuazione del processo.

Padre Romano ha vissuto in mezzo ai musulmani, pregando e perdonando.
Arrestato una notte dai soldati siriani che avevano invaso e saccheggiato il suo eremo, fu subito rilasciato dal comandante musulmano, che poi si raccomandò alle sue preghiere. Padre Romano era convinto che il miglior apostolato in mezzo ai musulmani fosse una vita di povertà, preghiera, lavoro; che si dovesse restare soli in mezzo a loro, ma comunque vicini e addirittura più poveri, per esercitare l'aiuto e l'amore.
I contadini del luogo si domandavano in che modo padre Romano potesse condurre un' esistenza di tal genere, convinti comunque di essere benedetti da Dio grazie alla sua presenza.
Difficile non pensare alla Regola dei Piccoli fratelli di C. De Foucauld che comanda a ciascuno di loro una vita nascosta, un apostolato fatto più di gesti quotidiani che di parole. Secondo la Regola, il modo migliore per servire gli altri è quello di essere vicini a loro nella preghiera, nel nascondimento, nell' oblazione quotidiana di sé, nello scandalo e nella follia della croce, che può esprimersi sia nel lavoro oscuro e diuturno, sia nei gesti più enormi. Padre Romano, oltre tutto, volle fermarsi in Libano a metà degli anni '70, mentre la situazione politica stava precipitando, quale segno di una presenza inerme, ma coerente.

Nel raccontare di figure simili, ci potrebbe essere sempre l'impressione di sfiorare atteggiamenti sprovveduti: di questi tempi tutto è diventato più difficile, le situazioni necessitano di letture opportune e il "dialogo" sembra perdere terreno, ma resta importante lo "sguardo" con cui anche padre Romano si è posto nei confronti dell'altro da sé.
Questi sono i vertici dell' esperienza spirituale: alle spalle vi si trovano non idee
sbagliate e buonismi inutili, ma tanto lavoro interiore, tanto affinamento del cuore e una grande maturità di pensiero.
Padre Romano, ad esempio, ricordava bene che la rivelazione suprema di Dio è lo sparire di Dio nell'umiltà del Cristo, nell'umiltà di un amore che si spoglia di tutto per donarsi tutto. E come al Verbo non occorre compiere particolari atti con la sua umanità per rivelarsi al mondo, perché sono la sua debolezza ed umana impotenza a mostrarne la Gloria, così Romano rese presente la salvezza sotto il segno della povertà e dell'impotenza. Diminuendo, abbreviandosi, scomparendo, divenne un segno, segno di Dio in modo proporzionale alla sua capacità di farsi piccolo e nascosto, partecipe dell'umiltà del suo Signore.

In termini più complessi, scrive M. C. Zaffi: «In singolare e mirabile continuità con il realismo di Aelredo e di Guglielmo, questo mistico vicino all'esistenza ha vissuto un amore e una fraternità universale, ha tradotto il suo ecumenismo in un'ospitalità a tutto campo, in un incondizionato accoglimento e benvenuto (gratitudine e benedizione) dell'altro (Dio e uomo) e di ogni realtà. Non solo.
Egli, attingendo l'ultima profondità del principio cistercense dell'ordine, cioè che in Cristo Dio si ordina all'uomo - gli si dona -, e con Dio è tutta la creazione che si ordina all'uomo, ne esplicita la conseguenza: non siamo più parte di un tutto, ma tutto in noi si aduna. Ribadito e formulato teologicamente: poiché tutto è stato assunto dal Verbo ed assumere è il modo migliore per conservare, poiché è il Verbo che assume, solleva a Dio la creazione, mentre la creatura è assunta dal Verbo, la suprema attività dell'uomo è «la passività», l'offerta di sé, la sua partecipazione al Sacrificio di Cristo nel quale si compie la vita di Cristo, la vita personale e dell 'universo, atto nel quale l'umanità e l'universo ritorna a Dio.
In Romano, inoltre, tale principio dell 'ordine, che la teologia e spiritualità cistercense ha desunto anche dall' esperienza della Presenza creatrice e da quella della Provvidenza come stabile significato ed utilità degli eventi e delle cose, trova un' applicazione particolare sia nella sua scelta di essere regolato dell'Eternità sia nell'esaltazione della realtà concreta e del dolore come ideale, poiché tutte le circostanze sono provvidenziali, amabili, splendide e, dal momento che sono in mano a Dio, dono di Dio e in funzione del disegno e della gloria divini, realizzano il proprio equilibrio personale e quello universale».[1]

Dopo questa lunga citazione, è davvero utile riconoscere e ribadire che alcune modalità del dialogo dicono, allo stesso tempo, la presenza e l'equivoco, l'ostinazione della carità e il silenzio privo di orgoglio, il valore esclusivo di "segno" che la Chiesa riveste e la resistenza disarmata, la comune vocazione umana e la "discreta caritas" di Dio.
Abbiamo qui alcuni tratti di un itinerario spirituale notevole, percorso da figure diverse, come quella di padre Romano, che dicono la piena disponibilità del cuore povero, capace solo di offrire una fedeltà quotidiana pervasa dalla benevolenza di Dio.
E proprio perché centrato sull'Eucaristia, il nascondimento di Romano, costituito da una quotidianità semplicissima ed orante, trascorso nel costante sentimento della propria piccolezza davanti a Dio, e consumato nel dono di sé, è tutt'altro che intimista.
Egli stesso si qualificava come «eremita missionario», cioè fratello universale, perché la testimonianza che viene dall'Eucarestia non è mai soltanto personale, ma è per tutti, cristiani e non, vicini e lontani, viventi d'oggi e di ogni tempo.
«L'universalismo di Romano, ricalcando quello del quarto evangelista e di san Paolo, è l'unificazione di tutte le cose e di tutti grazie all'offerta del Cristo.
Egli ancora comprende la propria vocazione sulla base di Giovanni 12,24.32, quale partecipazione personale al mistero di unità effettuato per mezzo della croce, quale donazione di vita per i fratelli collaborando al piano divino, che, in Cristo, ha
distrutto il ripiegamento del popolo ebreo su di sé, sui propri privilegi, per abbracciare l'intera umanità nel suo amore, fare di essa l'unica famiglia umana».
La «esistenza eucaristica» di padre Romano ha l'ampiezza dell'atto divino che tutto abbraccia e solleva a sé.

Quanto ne viene è il dono di una vita trasfigurata: il sorriso inalterabile dell'eremita poverissimo e provato, i suoi occhi luminosi in mezzo alla sofferenza, toccavano tutti perché erano segno della presenza evidente dello Spirito.
Non meraviglia, quindi, il fatto che cristiani e musulmani abbiano riconosciuto Padre Romano Bottegal «somigliantissimo al Cristo».
Tutto sommato, è bello riconoscere che ad ogni credente sia richiesto almeno di non far scomparire il nome di Dio dalla memoria dei popoli.
Tutte le religioni, del resto, sono chiamate ad unire i proprio sforzi attorno a questo identica e urgente necessità.

don Giuliano Zatti.





[1] Per un profilo della figura di Bottegal, rimando ai testi seguenti:
M. C. DEOGRATIAS, Testimone nello spirito, EMI, Città di Castello 1996.
MARIA CECILIA ZAFFI, «Vita, profilo, spiritualità del servo di Dio p. Romano Bottegal O.C.S.O.», Rivista Cistercense, 20 (2003) 1, 5-34;
IDEM, L'eremita missionario. Romano BottegaI dalla Trappa di Roma alle pietre del Libano, Prefazione di V. Messori, San Paolo, Cinisello Balsamo 2004.
LOUIS WEHBÉ, Padre Romano BottegaI, opuscolo della collana Testimoni cistercensi del nostro tempo, Edizioni Trappiste, Vitorchiano (VT), 2007.
Si veda anche l'esperienza dell'Eremo padre Romano: www.santamarianelsilenzio.org.