Pensiero
e spiritualità - 7 parte
Per aiutare a comprendere la spiritualità di padre
Romano, aggiungiamo parte di una incisiva
riflessione sul suo profilo spirituale proposta da suor Maria Augusta
Tescari
IL PROFILO SPIRITUALE
La decodificazione completa
delle note intime che — fortunatamente — il vescovo di Baalbeck non ha bruciato
(contravvenendo in ciò alla volontà dell’eremita espressa in note scritte e nel
suo testamento), permetterà in seguito di dare una presentazione più esatta e
sistematica della spiritualità, in tanti aspetti originale, di questo grande
mistico.
Romano desiderava — secondo
ciò che scrive in una Lettera del 5 agosto 1963 - «una cella di solitudine e
silenzio dove cercare di realizzare il desiderio e la raccomandazione del N. P.
San Benedetto: « La vita del monaco dovrebbe sempre svolgersi in un clima di
Quaresima che apre le porte del Cielo».
Egli aveva scelto la vita
eremitica non tanto per vivere solo quanto per «vivere meglio la Regola professata... sì da
realizzare più che possibile.., la vita fervorosa della vita monastica che si
ha in una vita quaresimale e pasquale». (RB 49). (lettera del 5 ottobre 1974).
Sull’esempio di S. Teresa di
Gesù Bambino, fin dalla giovinezza P. Romano si era offerto come vittima
all’Amore misericordioso.
Nella nota 274 egli rinnova
questo suo voto:
«Massimo dono: che la Provvidenza disponga
in modo tale che possa essere ostia fino alla morte (Fil 1,29: vobis datumn non
solum credere sed et pati)». «Rinuncia: a fare il peccato... accettando di
essere peccato» (Nota 59).
« Con il mio 15° anno di
vita eremitica l’Amore desidera la mia vita di reclusione come minima vittima,
“sitio “d’amore, vittima per la pace a Gerusalemme e Oriente; Vittima per la pace a Cina». (Nota 209)
Il desiderio dell’offerta di
sé in un’oblazione totale è anche espresso nel Voto di perfezione (nota 210),
che l’eremita così spiega:
«È lasciare che il Cristo —
lo Spirito di Cristo: quindi il suo amore, la sua certezza, la sua gioia, la
sua preghiera, la sua Pasqua viva in me. Come un corpo riscaldato elettrizzato
è impregnato del calore della forza elettrica... Attraverso il morire...:
compiere ogni atto quale azione di morte, quindi alieno da tutto; aspirare
all’Amore da cui si viene e a cui si va e che incontreremo».
Egli sintetizza la propria
Vita, con le differenti tappe della sua Vocazione che denomina i 7 misteri:
« Vocazione di creatura;
umana; cristiana: 1-12 anni; sacerdotale: 12-25 anni; monastica: 25-40 anni;
particolarità: santità; eremitica: 40-55 anni — particolarità: martirio;
reclusa: 55 anni — particolarità: visio mystica — consummatio... » (Nota 118).
E definisce la sua
personalità che si tra sforma via via nella personalità di Cristo:
“(Io)... all’ultimo posto;
minima creatura... lieta delle briciole; come il Buon Pastore e come la Madre di tutti, ut: omnes
consummati in unum..., nel gaudio del Silenzio dell’Amore eterno».
Questa descrizione ricorre
in moltissime note, con variazioni o aggiunte che testimoniano il suo cammino
spirituale:
- «In medio Amoris — in
medio Universi
- all’ultimo posto — minimo
presso l’altare;
- ultimissimo chiamato alle
nozze — portando il minimo dono;
- minima creatura — come
dono di tutti i misteri e per tutti i misteri;
- lieto dei doni — lieto
delle briciole;
- senza nessuna
sollecitudine — sollecito del Regno di Dio;
- mortificato nel corpo —
vivificato nello spirito;
- mediante il digiuno e il
silenzio — per mezzo dell’Eucaristia e delle Scritture;
- nella dilatazione del mio
nulla — nella dilatazione dello spirito;
- nella regalità della pace
— nella regalità dell’Amore;
- con viva devozione — con
vivo diletto;
- esultando — nell’esultanza
della Pasqua;
- dissolvendomi — nella
dissoluzione della Pasqua;
- per vivere — la vita
eterna» (Nota 218).
- «In medio Amoris —
Universi
- Minima creatura... nel
popolo di Dio, con il popolo di Dio, nella Chiesa di Dio, presso l’altare di
Dio; ultimissimo chiamato alle nozze, portando il minimo dono; lieto delle
briciole per gli amici e i nemici; vinto da (Cristo, vivificato, trasformato da
Cristo; io minimo Cristo vincitore e vinto;
- in novissima Pasca ut
Bonus Pastor ponens animam suam;
- In sinu gaudii tui
commendo corpus et spiritum meum... Suscipe...
- Ut omnes consummati in
unum... in amore Matris» (Nota 274).
Nella nota 272 possiamo
constatare che sono avvenute in P. Romano le nozze mistiche:
«I 12, 25, 40, 55 anni della
mia vita furono andare, riposare con affetto nell’abbraccio dell’amore. O gioia
amore… accetto e ti ringrazio dei tuoi doni; rinuncio a tutto, accetto il tuo
abbraccio, mi riposo nel tuo amore, mi dissolvo nel tuo seno e nel tuo riposo,
a riposo di ogni amore, ut omnes simus consummati in unum, in amore Matris.
Amore gioia Gesù, Trinità, Sacra Famiglia, Angeli, Santi, Universo, Chiesa,
Fratelli — Cielo. Facendo la sintesi dei miei 55 anni... Un nulla mistico che
porta un universo di Grazie» (Nota 127).
Questo matrimonio mistico
che lo unisce strettamente a Dio è fecondo: nella nota 56 P. Romano parla di
un’eternità di servizio, alludendo alla realizzazione di una missione
particolare affidatagli da Dio a favore dell’umanità, un po’ come S. Teresa di
Gesù Bambino, che avrebbe passato il suo Cielo facendo del bene sulla terra.
Romano, che ha sempre pensato a sé come a un niente, ad «un pulviscolo», anche
nell’eternità sarà «servo» del Signore e di tutti i suoi fratelli.
Ovviamente l’eremita è
giunto a queste Vette mistiche attraversando la notte, anzi il martirio di
dubbi, tristezze, ansietà ed angustie (Note 129,195,205,207,215, 217,281 ecc.).
L’esistenza di Dio, di
Cristo, la storicità del Vangelo, la veridicità della Chiesa Romana, la bontà e
utilità della sua vita, la vita futura, la propria innocenza, la grazia, la
gloria per lui non erano più verità certe e andavano riconquistate attraverso
una lotta asprissima, fatta di continui atti di fede, speranza, carità,
abbandono, gratitudine, distruggendo «il groviglio di spine, da cui ci si
sbarazza incendiandolo con una fiammata di Amore. Gioia, coraggio, allontanando
ciò che porterebbe ansietà, angustia» (Nota 129).
Da buon teologo, P. Romano
sapeva il valore della ragione ed opponeva ad ogni dubbio ragioni di fede,
ripercorrendo tutta la teologia studiata con amore in seminario e alla
Gregoriana, tracciando così - naturalmente a sua insaputa — un utilissimo
cammino pedagogico.
Le regole ascetiche che
servivano di base alla sua vita erano il risultato di una profonda conoscenza
che P. Romano aveva di se stesso ed erano ispirate dalla tradizione dei Padri
cistercensi e dei maggiori maestri spirituali: Ignazio di Loyola, Francesco di
Sales, l’imitazione di Cristo.
La realtà della Croce fu per
P. Romano uno stile di vita, abbracciato con gioia per la gloria di Dio, la sua
santificazione personale e per la salvezza dei fratelli. L’aveva detto ad una
religiosa che gli poneva domande a proposito della preghiera contemplativa:
«La contemplazione può
esserci o non esserci, quello che è indispensabile alla santità è la Croce. Il cristiano la Chiesa tanto ha valore
quanto partecipa del Cristo. Ora Gesù Cristo è nella sua culminante grandezza
terrena quando è sulla Croce... Nel mondo visibile nella vita presente la Croce è il punto a cui
tendono le Scritture dell’Antico Testamento (la Gerusalemme ebrea), a
cui riportano le Scritture del Nuovo Testamento (la Chiesa). Quindi questo
punto il cristiano deve realizzare in sé a questo punto tendere, perché in
questo punto è veramente cristiano, in questo punto realizza in sé il Vangelo….
Ora, com’ é il Cristo in croce? È vittorioso, ma vinto anche (dalla Provvidenza
specialmente); soffre e ama: per tutti, donandosi a tutti con cuore. In Croce
non ci sono dispute. non c’è attaccamento alle cose terrene, c’è attesa delle
cose celesti. Questo punto, la “Croce”è ciò che vale in eterno; a cui
l’eternità preparò; da cui l’eternità dipende; è l’unico necessario, la pietra
preziosa. Chi trova questo punto, quanto più uno trova questo punto, tanto più
è vicino al regno del cielo, tanto più entra nel regno del cielo». (Nota 54)
Sarebbe utile soffermarsi
sulla sua particolare teologia della gioia, del giubilo, del sorriso, che lo
fanno esultare anche di fronte alla sofferenza e alla morte (Nota 279: «morire,
esultando del - l’esultanza della Risurrezione»).
Possiamo affermare senza
possibilità di dubbio, attraverso le deposizioni di testimoni oculari cristiani
e musulmani, come anche attraverso le Note intime, che il cammino dell’eremita,
per mezzo della rinuncia, l’ha condotto verso una totale semplifìcazione, verso
un’unione mistica che abbracciava Dio — i fratelli — se stesso — la Creazione. «O Gioia
Amore: grazie, vieni, esulta, riposa, consuma tutto in uno; anch’io, il più
piccolo Gesù, sono amato e amo sempre più e sempre meglio, sicché amo più che
posso, gli altri più di me, Dio più che è possibile, oggi più di ieri e meno di
domani» (Nota 45),
Ultimo fra gli ultimi,
minimissimo ai suoi occhi e a quello degli altri, Romano aveva ottenuto il dono
della regalità, del dominio sulle passioni: « .. . dubbi, timori, desideri,
doveri, bisogni... costituiscono la cosa sulla quale Gesù desidera che io sia
re» (Nota 42).
In lui, nella sua piccola
umanità trasformata in Cristo e dilatata dall’amore, avevano trovato posto
tutti i fratelli, tutto il cosmo.
«O Gioia Amore che beata
nella Trinità nella piccola nube, nel piccolo gregge,
sei beata anche nel minimo
pulviscolo;
che mi hai amato nella tua
eternità tutta, nella creazione e conservazione,
nella vita cristiana,
sacerdotale, monastica, eremitica, reclusa,
nella vita spirituale, nel
martirio, che mi amerai nella vita eterna
che in questo momento, in
questo luogo con tutto l’amore divino,
con tutto l’amore delle
creature, con tutto l’amore del mio essere
mi chiami alla tua visione,
amore, gaudio direttamente:
io vengo alla tua visione,
amore, gaudio
con tutto l’amore del mio
essere, delle creature, di Dio.
In sinugaudii tui commendo
corpus et spiritus meum...
Suscipe me, ut non confundar
de expectatione mea magna,
secundum verbum tuum quo
mihi spem dedisti.
Gloria a Dio... pace a me:
vita, amore dal candore,
sicché io sia più che posso, gli altri più... Dio più».
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