Padre Romano Bottegal
AI-Hiwar, 1/2012
Ci soffermiamo stavolta
sulla figura "periferica" di un monaco bellunese, i cui tortuosi
percorsi esistenziali, contenutistici e stilistici sono davvero simili a quelli
di altre figure del dialogo cristiano-islamico, quali Charles de Foucauld, i
monaci trappisti di Tibhirine (Atlas algerino) e don Andrea Santoro.
Sulle pagine della storia e
del dialogo si incontrano nomi noti e nomi meno noti, ma il cui compito comune
è stato quello di dare vita ad una "geografia dell'anima" capace di
raccogliere il vissuto e le contraddizioni di popoli, persone e nazioni, come -
nel caso specifico - il Libano, l'Algeria e la Turchia.
Già queste prime battute mi
porterebbero ad anticipare una conclusione, che poi riprenderemo: soltanto
l'uomo "spirituale", riesce veramente a portare dentro di sé la
ricchezza del proprio mondo interiore, senza chiudersi alla ricchezza della
vicenda e
dell' interiorità di altri.
Ma andiamo con ordine, partendo da qualche informazione storica.
Romano Bottegal nacque nel 1921 a san Donato di Lamon
(Belluno) in una famiglia molto povera, ultimo di sei figli.
Per tutta la vita Romano
incoraggiò i suoi a sopportare in pace e abbandono alla provvidenza la
difficile situazione economica.
Dopo le scuole elementari,
il piccolo Romano entro nel seminario minore di Feltre e poi nel seminario
maggiore di Belluno, dove ebbe come vice-rettore don Albino Luciani, poi papa
Giovanni Paolo I, che lo apprezzò molto e gli lasciò delle testimonianze
significative. A 18 anni fece il voto perpetuo di castità. Durante gli anni di
teologia maturò una forte vocazione monastica, ma i suoi superiori ed il padre
spirituale lo consigliarono di attendere l'ordinazione sacerdotale, che
ricevette il 29 giugno 1946.
Dopo l'ordinazione lasciò la
diocesi ed entrò nell'abbazia delle Tre Fontane, a Roma.
Là fece la professione
solenne nel 1951 e seguì dei corsi all'università Gregoriana, dove nel 1953,
ottenne la Licenza di teologia.
Fu maestro dei fratelli
conversi, cantore, poi maestro dei novizi e priore.
Nel 1961 rispose all'appello
dell'abate di Latroun, in Israele, che cercava dei volontari per realizzare in
Libano una fondazione trappista di rito maronita, ed egli ottenne dai superiori
di partecipare a questo tentativo. Qui padre Romano si mise a studiare l'arabo,
il siriaco e la liturgia orientale.
Nel mese di dicembre del
1963, dato che il progetto libanese era stato abbandonato, non avendo ricevuto
il permesso del Capitolo generale dei trappisti, lasciò il medio oriente e rientrò
alle Tre Fontane, dove l'abate, che conosceva la serietà del suo impegno monastico
e la sua virtù interiore, gli permise di condurre una vita solitaria nel
territorio del monastero.
Poco più tardi fu nominato
un nuovo superiore alle tre Fontane, che non
concesse a padre Romano di
continuare la sua esperienza di vita solitaria nelle mura del convento.
Padre Romano, che aveva
ormai la certezza della chiamata del Signore ad una vita più austera e
solitaria, domandò un indulto di sclaustrazione, che gli fu accordato dalla
Santa Sede, per poter condurre una vita eremitica.
Dopo un tempo di ricerca,
partì per il Libano e si pose sotto l'autorità del vescovo melkita di Baalbek,
vivendo in vita solitaria a Jabbouleh, in un eremitaggio appartenente alla diocesi.
Qui passò i suoi ultimi
anni, conducendo una vita molto austera, con un regime alimentare appena
sufficiente, senza riscaldamento, né mobili, né alcuna forma di agio.
Rimase continuamente in
relazioni fraterne con alcuni fratelli e i vecchi superiori delle Tre Fontane:
il suo animo limpido, tranquillo, sensibile e pieno di amore, lo portò sempre a
preoccuparsi del bene della comunità.
Non si lasciò indurire dalla
vita di ascesi e di penitenza: riusciva a fare le cose fino in fondo senza
perdere il senso pratico e senza intristirsi.
Dotato di eccezionale
equilibrio, sensibilità e delicatezza d'animo, congiunse i suoi altissimi
ideali a un estremo realismo; unì l'incredibile austerità del suo stile di vita
alla dolcezza con se stesso, con gli altri e con tutta la realtà, vivendo la
paternità e la "maternità" spirituali.
Uomo amabile, sorridente e
tenero, sapeva mostrare una gioia inalterata: tutti i testimoni parlano della
sua gioia e dell' espressione del volto da cui traspariva la presenza del Signore,
frutto anche di qualche esperienza mistica che trapelava chiaramente dal suo
Diario segreto, nonostante la discrezione della persona.
Colpito dalla tubercolosi,
sfinito dalle privazioni, padre Romano si spense il 19 febbraio del 1978,
all'età di 56 anni. all'ospedale di Beyrout, dopo 32 anni di vita monastica, di
cui 14 passati in solitudine.
Vicino al suo eremo oggi
sorge un convento che continua l'opera di contemplazione da lui cominciata.
I Capitoli generali del 1999
hanno approvato la preparazione della causa di beatificazione. Nel 2000, la
Congregazione per la dottrina della fede ha dato il suo nulla osta alla
continuazione del processo.
Padre Romano ha vissuto in
mezzo ai musulmani, pregando e perdonando.
Arrestato una notte dai
soldati siriani che avevano invaso e saccheggiato il suo eremo, fu subito
rilasciato dal comandante musulmano, che poi si raccomandò alle sue preghiere.
Padre Romano era convinto che il miglior apostolato in mezzo ai musulmani fosse
una vita di povertà, preghiera, lavoro; che si dovesse restare soli in mezzo a
loro, ma comunque vicini e addirittura più poveri, per esercitare l'aiuto e
l'amore.
I contadini del luogo si
domandavano in che modo padre Romano potesse condurre un' esistenza di tal
genere, convinti comunque di essere benedetti da Dio grazie alla sua presenza.
Difficile non pensare alla
Regola dei Piccoli fratelli di C. De Foucauld che comanda a ciascuno di loro
una vita nascosta, un apostolato fatto più di gesti quotidiani che di parole.
Secondo la Regola, il modo migliore per servire gli altri è quello di essere
vicini a loro nella preghiera, nel nascondimento, nell' oblazione quotidiana di
sé, nello scandalo e nella follia della croce, che può esprimersi sia nel
lavoro oscuro e diuturno, sia nei gesti più enormi. Padre Romano, oltre tutto,
volle fermarsi in Libano a metà degli anni '70, mentre la situazione politica
stava precipitando, quale segno di una presenza inerme, ma coerente.
Nel raccontare di figure
simili, ci potrebbe essere sempre l'impressione di sfiorare atteggiamenti sprovveduti:
di questi tempi tutto è diventato più difficile, le situazioni necessitano di
letture opportune e il "dialogo" sembra perdere terreno, ma resta
importante lo "sguardo" con cui anche padre Romano si è posto nei
confronti dell'altro da sé.
Questi sono i vertici dell'
esperienza spirituale: alle spalle vi si trovano non idee
sbagliate e buonismi
inutili, ma tanto lavoro interiore, tanto affinamento del cuore e una grande
maturità di pensiero.
Padre Romano, ad esempio,
ricordava bene che la rivelazione suprema di Dio è lo sparire di Dio
nell'umiltà del Cristo, nell'umiltà di un amore che si spoglia di tutto per
donarsi tutto. E come al Verbo non occorre compiere particolari atti con la sua
umanità per rivelarsi al mondo, perché sono la sua debolezza ed umana impotenza
a mostrarne la Gloria, così Romano rese presente la salvezza sotto il segno
della povertà e dell'impotenza. Diminuendo, abbreviandosi, scomparendo, divenne
un segno, segno di Dio in modo proporzionale alla sua capacità di farsi piccolo
e nascosto, partecipe dell'umiltà del suo Signore.
In termini più complessi,
scrive M. C. Zaffi: «In singolare e mirabile continuità con il realismo di
Aelredo e di Guglielmo, questo mistico vicino all'esistenza ha vissuto un amore
e una fraternità universale, ha tradotto il suo ecumenismo in un'ospitalità a tutto campo, in un
incondizionato accoglimento e benvenuto
(gratitudine e benedizione) dell'altro (Dio e uomo) e di ogni realtà. Non solo.
Egli, attingendo l'ultima
profondità del principio cistercense dell'ordine,
cioè che in Cristo Dio si ordina all'uomo
- gli si dona -, e con Dio è tutta la creazione che si ordina all'uomo, ne
esplicita la conseguenza: non siamo più parte di un tutto, ma tutto in noi si aduna. Ribadito e
formulato teologicamente: poiché tutto è stato assunto dal Verbo ed assumere è
il modo migliore per conservare, poiché è il Verbo che assume, solleva a Dio la
creazione, mentre la creatura è assunta dal Verbo, la suprema attività
dell'uomo è «la passività», l'offerta di sé, la sua partecipazione al
Sacrificio di Cristo nel quale si compie la vita di Cristo, la vita personale e
dell 'universo, atto nel quale l'umanità e l'universo ritorna a Dio.
In Romano, inoltre, tale principio dell 'ordine, che la teologia
e spiritualità cistercense ha desunto anche dall' esperienza della Presenza
creatrice e da quella della Provvidenza come stabile significato ed utilità
degli eventi e delle cose, trova un' applicazione particolare sia nella sua
scelta di essere regolato dell'Eternità sia nell'esaltazione della realtà
concreta e del dolore come ideale, poiché tutte le circostanze sono
provvidenziali, amabili, splendide e, dal momento che sono in mano a Dio, dono
di Dio e in funzione del disegno e della gloria divini, realizzano il proprio equilibrio personale e quello
universale».[1]
Dopo questa lunga citazione,
è davvero utile riconoscere e ribadire che alcune modalità del dialogo dicono,
allo stesso tempo, la presenza e l'equivoco, l'ostinazione della carità e il
silenzio privo di orgoglio, il valore esclusivo di "segno" che la
Chiesa riveste e la resistenza disarmata, la comune vocazione umana e la
"discreta caritas" di Dio.
Abbiamo qui alcuni tratti di
un itinerario spirituale notevole, percorso da figure diverse, come quella di
padre Romano, che dicono la piena disponibilità del cuore povero, capace solo
di offrire una fedeltà quotidiana pervasa dalla benevolenza di Dio.
E proprio perché centrato
sull'Eucaristia, il nascondimento di Romano, costituito da una quotidianità
semplicissima ed orante, trascorso nel costante sentimento della propria
piccolezza davanti a Dio, e consumato nel dono di sé, è tutt'altro che intimista.
Egli stesso si qualificava
come «eremita missionario», cioè fratello universale, perché la testimonianza
che viene dall'Eucarestia non è mai soltanto personale, ma è per tutti,
cristiani e non, vicini e lontani, viventi d'oggi e di ogni tempo.
«L'universalismo di Romano,
ricalcando quello del quarto evangelista e di san Paolo, è l'unificazione di
tutte le cose e di tutti grazie all'offerta del Cristo.
Egli ancora comprende la
propria vocazione sulla base di Giovanni 12,24.32, quale partecipazione
personale al mistero di unità effettuato per mezzo della croce, quale donazione
di vita per i fratelli collaborando al piano divino, che, in Cristo, ha
distrutto il ripiegamento
del popolo ebreo su di sé, sui propri privilegi, per abbracciare l'intera
umanità nel suo amore, fare di essa l'unica famiglia umana».
La «esistenza eucaristica»
di padre Romano ha l'ampiezza dell'atto divino che tutto abbraccia e solleva a
sé.
Quanto ne viene è il dono di
una vita trasfigurata: il sorriso inalterabile dell'eremita poverissimo e
provato, i suoi occhi luminosi in mezzo alla sofferenza, toccavano tutti perché
erano segno della presenza evidente dello Spirito.
Non meraviglia, quindi, il
fatto che cristiani e musulmani abbiano riconosciuto Padre Romano Bottegal
«somigliantissimo al Cristo».
Tutto sommato, è bello
riconoscere che ad ogni credente sia richiesto almeno di non far scomparire il
nome di Dio dalla memoria dei popoli.
Tutte le religioni, del
resto, sono chiamate ad unire i proprio sforzi attorno a questo identica e
urgente necessità.
don Giuliano Zatti.
[1] Per un
profilo della figura di Bottegal,
rimando ai testi seguenti:
M. C. DEOGRATIAS, Testimone nello
spirito, EMI, Città di Castello 1996.
MARIA CECILIA ZAFFI, «Vita,
profilo, spiritualità del servo di Dio p. Romano Bottegal O.C.S.O.», Rivista
Cistercense, 20 (2003) 1, 5-34;
IDEM, L'eremita missionario.
Romano BottegaI dalla Trappa di Roma alle pietre del Libano, Prefazione di V.
Messori, San Paolo, Cinisello Balsamo 2004.
LOUIS WEHBÉ, Padre Romano
BottegaI, opuscolo della collana Testimoni cistercensi del nostro tempo,
Edizioni Trappiste, Vitorchiano (VT), 2007.
Si veda anche l'esperienza
dell'Eremo padre Romano: www.santamarianelsilenzio.org.
Nessun commento:
Posta un commento